giovedì 17 marzo 2011

Quali auguri per quale Italia?

Oggi è la giornata scelta per la celebrazione del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia — lo sappiamo tutti e non è il caso che ci spenda tempo e parole.

Ma una cosa devo dire. Anzi due.

La prima è che in realtà il 17 marzo 1861 non fu sancita l'unità d'Italia, bensì soltanto la proclamazione di Vittorio Emanuele II a re d'Italia. Di fatto, all'appello mancavano ancora Roma e le tre Venezie — la prima verrà conquistata nel settembre del 1870, mentre l'annessione delle seconde si compirà fra il 1866 e il 1918. Quanto al re, il Savoia era già sovrano di uno staterello comprendente Piemonte, Liguria, Savoia e Sardegna col nome, appunto, di Vittorio Emanuele II. Al momento della proclamazione del regno, gli fu chiesto di assumere il nome di Vittorio Emanuele I per sottolineare il distacco dal vecchio stato di cose e l'inizio di una nuova èra: lui si rifiutò — Vittorio Emanuele II era, e Vittorio Emanuele II sarebbe rimasto. Era il Regno di Sardegna ad aver conquistato l'Italia, non il contrario; era il Piemonte ad aver allungato le mani sulla penisola, e il Savoia non aveva bisogno dello Stivale per essere re. È sulla base di queste non confortanti premesse che il nome geografico Italia (per dirla col Metternich) divenne regno e nazione.

La seconda è che se davvero c'è qualcuno che ha tutto il diritto di rifiutarsi di partecipare alle celebrazioni dell'evento, questo è il popolo delle ex Due Sicilie: che fra il 1860 e il 1865 fu affogato nel sangue di una guerra civile odiosa ed esecrabile, con strascichi dolorosi che si protrassero per decenni. Certo non ne hanno diritto i furbetti della Lega — ché se la Repubblica italiana fosse uno Stato serio (e non è né l'uno né l'altro), non avrebbe mai neanche preso in considerazione l'ipotesi di accettare la costituzione in partito di un movimento volto a promuovere la secessione ovvero a ripristinare sia pure parzialmente la divisione dell'Italia contro la quale operò appunto il Risorgimento. Ma siccome pare che certo Nord voglia riprendersi gli antichi privilegi, confondendo ad arte la mala gestione centralista con lo spostamento del centro, non si vede perché non voglia scendere in piazza a festeggiare: il 17 marzo 1861 si celebrò la vittoria del Piemonte, non certo di Roma.

Così gli auguri li faccio a mio figlio e alle nuove generazioni, che possano vivere in un'Italia migliore — ché quella di adesso se non è ai minimi storici siamo lì, e per fare più bella figura ci vuol poco, mi sa.

giovedì 10 marzo 2011

"Scherza coi fanti e lascia stare i santi"

Chissà se l'ha mai sentita questa frase don Corinno Scotti, il parroco di Brembate — quand'ero bambina io si usava molto, perla di saggezza popolare intesa a definire gli ambiti del dire profano e ad insegnare l'importanza del limite.

Il dubbio mi è sorto l'altro giorno, leggendo che nell'ultima omelia domenicale don Corinno ha dichiarato che la piccola Yara, come santa Maria Goretti, è morta per difendere la sua castità.

Sia chiaro, non voglio affatto entrare nel merito della cupa vicenda che nel 1902 travolse Maria Goretti e Alessandro Serenelli: ha detto tutto Giordano Bruno Guerri col suo esemplare Povera santa, povero assassino — all'epoca ci fu chi ne invocò la scomunica, ma cosa volete che sia per uno che di nome fa Giordano Bruno?

Però sentendo l'infelice uscita di don Corinno mi è tornata in mente una mia assai stupida compagna di scuola: la quale, il giorno dopo aver perso la verginità, mi confidò esultante che finalmente adesso si sentiva veramente libera perché non temeva più di essere violentata. Aveva 16 anni. Due anni dopo, avendo largamente approfittato della nuova disinvoltura derivante dal non esser più vergine, si accompagnò incautamente con un giovanottone di 36 anni finendo stuprata dallo stesso e da un suo amico sbucato al momento giusto. Mi è stato riferito che l'esperienza non la lasciò indifferente come aveva sperato.

Ora, soltanto una così o don Corinno possono pensare che la tenace difesa dalla violenza carnale dipenda dall'esigenza di preservare intatto un lembo di tessuto organico, e che, una volta rimosso l'ostacolo, non vi siano altri motivi validi per opporre resistenza.

Subire violenza è un'esperienza devastante per qualunque donna, vergine o no: essere una madre prolifica o una puttana accorsata non toglie nulla al peso psicologico della cosa. Va da sé che per una ragazzina ancora vergine il trauma non può che rivelarsi peggiore e in alcuni casi irreparabile: ma lo stupro è per sua natura un oltraggio che nessuna donna può superare impunemente, proprio per il significato di sfregio che la penetrazione brutale nel profondo della sua intimità ontologica — e non soltanto fisica — rappresenta.

Ma immagino che la piccola Yara, tentando di fuggire dal suo assassino, non pensasse tanto e solo alla salvaguardia della propria verginità: credo piuttosto che tentasse di sottrarsi a un pericolo, come fa ogni animale quando sente di non poter lottare. È l'istinto di conservazione che prevale: altrimenti non si spiega perché le numerose non-vergini minacciate, invece di cedere con buona grazia e uno sbadiglio alle scontate voglie del loro aggressore (a Milano si dice «ona lavada, ona sügada e la par nanca dropada» — devo tradurre?) vadano nel panico, facciano di tutto per evitare lo stupro e poi, non essendoci riuscite, ne escano psicologicamente a pezzi e spesso fisicamente malconce.

Credo che nessun uomo, né laico né chierico, possa capire questo fino in fondo — non parlo di comprensione del fatto, parlo di condivisione empatica. Gli psicologi, ovviamente, ci si avvicinano molto, e forse anche i maschi che a loro volta sono stati violentati (ma sono pochi, e certo non vanno in giro a raccontarlo). E allora, come diceva Wittgenstein, «su ciò di cui non si può parlare si deve tacere».

sabato 5 marzo 2011

A carnevale, ogni asino vale (più di molti umani) — ovvero tre minuti per l'asinello di Peropalo

Come ogni anno, in occasione del Carnevale alcuni spagnoli si prenderanno la briga di martirizzare una povera bestia.
Serve a qualcosa scrivere lettere di protesta al governo e ai giornali di Spagna? Non lo so, però l'ho fatto ugualmente raccogliendo l'appello comparso su facebook.
Qui di seguito, per i pigri, gli indirizzi, i testi e le istruzioni: si tratta di fare un copia-e-incolla, ci vanno tre minuti. Trovateli, per favore.

P.S.: Ma un po' di boicottaggio no?

venerdì 4 marzo 2011

Prossimo impiego: veggente

Tempo fa, nel mio ex blog (attualmente in costruzione e dio benedica il Franc maçon che lo sta ri-edificando) scrivevo che non mi sarei meravigliata di veder varare una norma di impunità per ogni cittadino italiano di sesso maschile, over 70 e il cui cognome iniziasse con "Berlu" e finisse con "sconi". Ho sbagliato di poco, visto?