giovedì 10 marzo 2011

"Scherza coi fanti e lascia stare i santi"

Chissà se l'ha mai sentita questa frase don Corinno Scotti, il parroco di Brembate — quand'ero bambina io si usava molto, perla di saggezza popolare intesa a definire gli ambiti del dire profano e ad insegnare l'importanza del limite.

Il dubbio mi è sorto l'altro giorno, leggendo che nell'ultima omelia domenicale don Corinno ha dichiarato che la piccola Yara, come santa Maria Goretti, è morta per difendere la sua castità.

Sia chiaro, non voglio affatto entrare nel merito della cupa vicenda che nel 1902 travolse Maria Goretti e Alessandro Serenelli: ha detto tutto Giordano Bruno Guerri col suo esemplare Povera santa, povero assassino — all'epoca ci fu chi ne invocò la scomunica, ma cosa volete che sia per uno che di nome fa Giordano Bruno?

Però sentendo l'infelice uscita di don Corinno mi è tornata in mente una mia assai stupida compagna di scuola: la quale, il giorno dopo aver perso la verginità, mi confidò esultante che finalmente adesso si sentiva veramente libera perché non temeva più di essere violentata. Aveva 16 anni. Due anni dopo, avendo largamente approfittato della nuova disinvoltura derivante dal non esser più vergine, si accompagnò incautamente con un giovanottone di 36 anni finendo stuprata dallo stesso e da un suo amico sbucato al momento giusto. Mi è stato riferito che l'esperienza non la lasciò indifferente come aveva sperato.

Ora, soltanto una così o don Corinno possono pensare che la tenace difesa dalla violenza carnale dipenda dall'esigenza di preservare intatto un lembo di tessuto organico, e che, una volta rimosso l'ostacolo, non vi siano altri motivi validi per opporre resistenza.

Subire violenza è un'esperienza devastante per qualunque donna, vergine o no: essere una madre prolifica o una puttana accorsata non toglie nulla al peso psicologico della cosa. Va da sé che per una ragazzina ancora vergine il trauma non può che rivelarsi peggiore e in alcuni casi irreparabile: ma lo stupro è per sua natura un oltraggio che nessuna donna può superare impunemente, proprio per il significato di sfregio che la penetrazione brutale nel profondo della sua intimità ontologica — e non soltanto fisica — rappresenta.

Ma immagino che la piccola Yara, tentando di fuggire dal suo assassino, non pensasse tanto e solo alla salvaguardia della propria verginità: credo piuttosto che tentasse di sottrarsi a un pericolo, come fa ogni animale quando sente di non poter lottare. È l'istinto di conservazione che prevale: altrimenti non si spiega perché le numerose non-vergini minacciate, invece di cedere con buona grazia e uno sbadiglio alle scontate voglie del loro aggressore (a Milano si dice «ona lavada, ona sügada e la par nanca dropada» — devo tradurre?) vadano nel panico, facciano di tutto per evitare lo stupro e poi, non essendoci riuscite, ne escano psicologicamente a pezzi e spesso fisicamente malconce.

Credo che nessun uomo, né laico né chierico, possa capire questo fino in fondo — non parlo di comprensione del fatto, parlo di condivisione empatica. Gli psicologi, ovviamente, ci si avvicinano molto, e forse anche i maschi che a loro volta sono stati violentati (ma sono pochi, e certo non vanno in giro a raccontarlo). E allora, come diceva Wittgenstein, «su ciò di cui non si può parlare si deve tacere».

1 commento:

  1. Molto simpatica la tua compagna di scuola... lo straordinario mondo dell'adolescenza, che si accomiata dall'infanzia con gli strumenti dell'infanzia e qualche innesto adulto a casaccio!

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